ritmo s. m. [dal lat. rhythmus, gr. ῥυϑμός, affine a ῥέω «scorrere»]. – Il succedersi ordinato nel tempo di forme di movimento, e la frequenza con cui le varie fasi del movimento si succedono; tale successione può essere percepita dall’orecchio (con alternanza di suoni e di pause, di suoni più intensi e meno intensi, ecc.), o dall’occhio (come alternanza di momenti di luce e momenti di ombra, di azioni e pause, di azioni fra loro simili e azioni di diverso tipo, ecc.), oppure concepita nella memoria e nel pensiero. […] 4. In musica, uno degli elementi costitutivi (insieme alla melodia e all’armonia) del linguaggio musicale, ossia quello che si riferisce ai rapporti di durata intercorrenti tra i suoni, nonché all’organizzazione, ordinata o no, di tali durate.
{Fonte: Vocabolario Treccani}
L’etimologia della parola “ritmo”
Leggendo questa definizione mi sono soffermata subito sull’etimologia della parola ritmo, la cui radice è affine al verbo greco ῥέω «scorrere». Ho pensato immediatamente al detto: “Hai il ritmo nel sangue”. In effetti, se ci pensi, il nostro ritmo in senso fisiologico lo tiene il cuore e dal cuore si diffonde ovunque attraverso il pulsare del sangue nelle vene. Quando camminiamo o muoviamo i piedi in una danza diamo una spinta alla circolazione di ritorno e riportiamo in circolo il nostro ritmo e questo ci fa stare bene! È davvero molto affascinante. Adoro pensare che una componente fondamentale del linguaggio musicale come il ritmo sia così funzionale alla vita stessa del nostro corpo. Abbiamo tutti il ritmo nel sangue!
Ritmo: questione di pieni e vuoti
Il ritmo è fatto di pieni (i suoni) quanto di vuoti (le pause), nella musica come nella vita. E mi viene da dire che la musica ha da insegnarci qualcosa nella gestione del nostro ritmo. Nella realtà quotidiana contemporanea sono molti più i pieni che vuoti. Questo perché soffriamo della sindrome dell’horror vacui: non siamo più capaci di stare nel vuoto, nel silenzio. Rifuggiamo le attese, corriamo da un impegno all’altro, accumuliamo esperienze senza nemmeno avere il tempo di metabolizzarle e godercele.
Nella musica come nella vita, però, i pieni perdono di senso, se non ci sono i vuoti, le pause, a permetterci di comprendere il messaggio, a farci apprezzare la melodia. Se ci concentriamo solo sui pieni, quello che produciamo non è che una successione di suoni senza senso. Perché il senso lo dà il respiro – la pausa, il vuoto, il silenzio – tra una nota e l’altra. Abbiamo bisogno del vuoto, delle pause, per ritrovare il senso. Abbiamo bisogno di respirare e ritrovare il nostro ritmo. E quanto la situazione presente ci ha aperto gli occhi in questo senso!
Ognuno ha il suo ritmo!
Ognuno di noi ha il suo ritmo, che è meravigliosamente fluido e si modula sulle stagioni della vita e le stagioni dell’anno, le fasi che attraversiamo e le esperienze che viviamo. Una sola cosa è certa: nessuno può importi il suo. Assecondare ritmi non nostri è davvero una pratica malsana: ci fa apparire sgraziati come un abito della taglia sbagliata e, alla lunga, ci logora nello spirito e nel corpo.
Quando andiamo troppo di fretta, spesso accade che qualcosa ci imponga di fermarci, di prendere fiato, di fare una pausa. A volte, però, anche quando la necessità di fermarci ci viene imposta, siamo così abituati a un ritmo frenetico che non riusciamo a riconoscerci più quando ci fermiamo. Ci riconosciamo solo nel nostro fare, non più nell’essere. Se c’è una pausa inaspettata, riconosci ugualmente la (tua) melodia? Ti riconosci nella persona che semplicemente sei? Se il ritmo, l’andamento della musica, non è quello che ti aspettavi, quanto cambia il (tuo) senso?
Sono diventate le mie domande-mantra in questo anno pandemico. Mi sono costruita una piccola certezza in tutto questo marasma di incertezza: se sei ancorato al senso, il tuo personale senso (il tuo perché), può cambiare tutto intorno a te, ma tu rimani radicato. E se resti connesso al tuo ritmo, il tuo senso arriva anche in quello che fai. Si trasmette naturalmente come l’acqua scorre e porta con sé tutto ciò che incontra sulla sua strada.
Il ritmo nel lavoro del nostro duo
Anche nel lavoro si è imposto per me un ritmo diverso rispetto al passato: lo definirei un adagio con brio. Seguo il flusso di ciò che per me è importante e non mi impongo nulla che non sia caro al mio cuore.
Tutto questo, naturalmente, porta i suoi frutti. Per prima cosa per i clienti: oggi sono certamente più consapevole, presente, attenta e nutro la mia empatia seguendo il mio ritmo. La nostra politica è sempre stata quella di non prendere eventi a sfinimento, ma scegliere di mettere un limite agli impegni per poter essere presenti al meglio. In questo periodo può non avere molto senso per il mondo, ma lo ha per noi e questo mi basta. Abbiamo trovato il nostro ritmo e non me lo faccio certo portare via!
In secondo luogo mi dà la possibilità di assaporare tutto, gustare ogni momento, scolpirlo nel cuore. Ogni dedica che ci viene richiesta, ogni mail: metto tutta la mia attenzione in quello che faccio e non corro da una cosa all’altra. È mindfulness quotidiana.
Per concludere…
Seguire il proprio ritmo significa anche godere della bellezza e della magia che incontriamo sul nostro cammino e avere cura di ciò che facciamo e delle persone che entrano in contatto con noi.
Potrei parlare per ore di ritmo, ma non preoccuparti: non lo farò. Ritornerò su questo tema parlando di arrangiamento, perché naturalmente il ritmo è una componente fondamentale del lavoro sui brani (ne parleremo presto anche in relazione al nostro servizio #dedicACORda) e del nostro modo di dargli la nostra impronta. Intanto ti lascio con una citazione a tema ritmo in musica (e non solo) e ti chiedo: stai seguendo il tuo ritmo?
“I’m slowing down the tune
I’ve never liked it fast
You wanna get there soon
I wanna get there last”
Leonard Cohen – “Slow”